Il tempo che ci vuole. Prima la vita, poi il cinema – di Giuseppe Careri

“Prima la vita, poi il cinema” è la frase fulminante di un padre, il famoso regista Luigi Comencini, che urla contro un assistente in un set cinematografico per insegnare a sua figlia il rispetto dell’altro, dell’amore degli ultimi e della passione di suo padre che segue da vicino il percorso di vita della sua bambina che un giorno, da persona adulta, si dedicherà anche lei all’arte e alla finzione cinematografica. Un tema, quello del cinema, che nella vita privata consoliderà il rapporto tra padre e figlia.

Un film bello, appassionante e commovente, descritto con garbo e perizia da Francesca Comencini diretto attraverso l’interpretazione particolarmente felice dei due protagonisti, Gifuni e Vergano, e grazie all’ambientazione e a numerosi bambini davvero bravi a interpretare la favola di Pinocchio.

Una fotografia sobria che accompagna un padre e la sua bambina fin dai primi dialoghi attraverso le attenzioni affettuose di un genitore per la propria figlia. Si intuisce fin dall’inizio l’intento del genitore di insegnare alla bambina, oltre le favole, anche la vita di tutti i giorni. La segue a scuola, la difende quando la bimba gli racconta della maestra che prende in giro una bambina disabile e affronta la situazione protestando con la Preside, per insegnarle anche le storture della vita.

Un percorso lungo di vita, spesso faticoso ma pieno di amore, di attenzione, di gesti particolarmente affettuosi, ormai quasi perduti nei nostri giorni.

Il film è ambientato in un periodo difficile della nostra vita. Si avvicina il sessantotto con le ali della libertà, della contestazione, degli scontri con la polizia a Valle Giulia dove gli studenti non arretrano di fronte alle cariche. E’ il momento della gioventù, dell’innamoramento, della passione giovanile, degli ideali che in qualche modo verranno sacrificati per gli avvenimenti futuri che assaliranno la nostra società.

Tra i primi baci, le prime carezze delicate tra i giovani, scoppiano intorno a loro tempeste che per la verità erano preannunciate dai tanti avvenimenti di cronaca, di attacchi alle forze dell’ordine e dai primi attentati ai treni. La bambina, ormai adulta frequenta i coetanei, s’innamora, fuma le prime canne.

Il padre sta all’erta; si accorge del cambiamento. Tenta di capire. Chiede, s’informa come se la figlia fosse ancora una bambina. Intorno a loro la società ha un sussulto, un dolore atroce per la bomba fascista alla Banca dell’Agricoltura di Piazza Fontana a Milano. I morti sono 17 i feriti 80. Tutta Milano partecipa ai funerali di poveri operai, agricoltori e cittadini ignari della loro sorte.

Il dramma si trasferisce nell’intimo delle case, dei ragazzi, genitori, fratelli. Compare in maniera massiccia la droga che annichilisce soprattutto i giovani, bravi ragazzi di brave famiglie che tentano di rimediare a un dramma che li ha colpiti.

In questo clima di paura s’inseriscono le Brigate Rosse e in un’alternanza di attentati fascisti si risponde con il terrorismo, colpire al cuore dello Stato si diceva allora. Vengono feriti giornalisti, politici, uomini dell’apparato. Il dramma della strada si sposta di nuovo nelle case, dove malgrado il giuramento della figlia, il padre scopre con sgomento la tragedia che ha colpito la sua famiglia di solo loro due.

La scena in cui il padre scopre la figlia nel bagno annichilita dalla droga è davvero difficile da sopportare. Lacrime amare solcano il viso della ragazza, e lacrime di dolore scendono anche tra gli spettatori per la forza dell’interpretazione di un dramma intimo, familiare. Nasce così il desiderio di un recupero della propria figlia che ha curato sin da bambina e non si arrende certo ora che è caduta così in basso.

IL dramma della famigliola è poi accentuato da quanto succede intorno a loro due, prima il rapimento e l’uccisione degli uomini della scorta di Moro, e poi l’assassinio del Presidente Democristiano da parte delle Brigate Rosse. Gli studenti universitari applaudono, sembra la vittoria del terrorismo, in realtà è anche la loro sconfitta da cui la società, la politica soprattutto, deve ricominciare.

L’amore di un genitore spesso guarisce anche le malattie più gravi, soprattutto quando l’amore è vero, viscerale, come lo è l’amore del protagonista del film di Francesca Comencini. Inizia così il recupero di una brava ragazza che si era perduta negli anni di piombo insieme a tanti giovani, in una società che non si era accorta per tempo dei pericoli che erano sempre più vicini, la contestazione, gli attentati, i ferimenti, le bombe, il terrorismo.

Nel film la ragazza “rinasce”, lo fa attraverso la regia di un film e grazie alla vicinanza amorevole del padre Luigi che ci fa ancora piangere per le sue manifestazioni di amore infinito verso la figlia ormai adulta.

Bravi gli attori, brava la regista, bello il film!

Giuseppe Careri