Mediterraneo, Mezzogiorno e il futuro dell’Europa – di Michele Rutigliano

Mediterraneo, Mezzogiorno e il futuro dell’Europa – di Michele Rutigliano

I legami tra il Mezzogiorno d’Italia, il Mediterraneo  e l’Europa sono  sempre stati profondi e complessi. Si sono radicati sin dai tempi di Carlo Magno e si sono poi sviluppati attraverso i secoli, nella politica, nella cultura, nelle arti e nelle scienze, con intrecci continui e influenze reciproche.

Ricordiamo l’influenza dei  Carolingi, così come quella dei  Longobardi e dei Bizantini. Nell’ XI secolo, l’arrivo dei Normanni portò a una nuova fase di integrazione europea per il Mezzogiorno. Il  Regno normanno fu un crocevia di culture: greca, latina, araba e normanna e diventò un punto di riferimento nel Mediterraneo. Con l’avvento degli Svevi e l’ascesa di Federico II, il Mezzogiorno conobbe un periodo di grande splendore culturale e politico, rafforzando ulteriormente i suoi legami con l’Europa centrale e settentrionale.

Il dominio angioino, nel XIII e XIV secolo rafforzò i legami del Mezzogiorno con la Francia, mentre l’arrivo degli Aragonesi nel XV secolo portò la regione nell’orbita della Spagna. Con gli Aragonesi, Napoli divenne una delle principali città del Rinascimento, un centro di attività culturali e intellettuali che attirò artisti, studiosi e umanisti da molti paesi e divenne  uno dei più importanti centri culturali d’Europa.

Con l’unificazione italiana nel 1861, il Mezzogiorno entrò a far parte del nuovo Stato italiano. Tuttavia i legami con l’Europa rimasero forti, soprattutto attraverso i processi di modernizzazione e industrializzazione del XX secolo. Dopo la seconda guerra mondiale, il Sud si inserì molto bene nel processo di integrazione europea che  produsse investimenti, sviluppo economico e scambi culturali. Ricordiamo, solo per brevità, il Piano Marshall e tutti gli aiuti americani  che furono utilizzati per la ricostruzione del Mezzogiorno.

In estrema sintesi, potremmo dire che i rapporti tra il Mezzogiorno, il Mediterraneo e l’Europa sono stati sempre caratterizzati da una lunga storia d’interazioni  ricche e complesse . Questi legami hanno contribuito a formare l’identità culturale e politica del Mezzogiorno, trasformando il suo territorio in un’area di grande importanza strategica e culturale .

Dal secondo dopoguerra in poi, noi italiani ci siamo mossi sempre più in sinergia con gli altri stati europei, soprattutto con quelli che vollero imprimere una svolta al nostro Vecchio continente. Purtroppo, quando noi italiani abbiamo voluto fare di testa nostra, come nel Ventennio, abbiamo combinato solo guai. Parliamoci chiaro: l’Euro, l’abbiamo voluto noi italiani, oppure ce lo ha prima suggerito e poi imposto l’Europa? A operazione conclusa, ci siamo resi conto dell’abisso in cui saremmo precipitati se avessimo ancora usato la nostra lira. Una valuta fragile e sempre più in balia delle speculazioni internazionali. Senza considerare la crescente sfiducia  dei mercati internazionali sulla tenuta dei nostri conti e sulla  sostenibilità del nostro immenso debito pubblico.

E comunque, sempre con uno sguardo rivolto  all’Euro, voi pensate che la prima moneta unica in Europa  è stata introdotta dai Trattati di Maastricht?  Falso!  La Storia ci dice altro.

Fu Carlo Magno a introdurre la prima moneta unica in Europa, allorquando autorizzò i frati del Monastero di Tour, nella Loira francese, a coniare il Tournois.  Una moneta che ben presto  iniziò a circolare in tutto l’impero carolingio, fino a Napoli, dove veniva scambiata, ancora nel periodo borbonico, col  nome  di “Tornese”.

Dai rapporti tra il Sud e l’Europa possiamo trarre diverse lezioni: innanzitutto l’importanza della posizione geografica. Il Mezzogiorno ha sempre avuto un ruolo chiave come ponte culturale e commerciale tra l’Europa e il Mediterraneo. Questo ci insegna che la posizione geografica può influenzare profondamente la storia e l’economia di una regione. A seguire poi c’è un altro fattore che si racchiude nella ricchezza derivante dalle diversità.

Tutta la Storia d’Italia  è un esempio di come la geopolitica, la cultura e l’economia si intreccino, influenzando il corso degli eventi e la vita delle persone. Ricordiamoci sempre che  l’idea moderna di Europa, come una sola entità politica, ha le sue radici nel dopoguerra. Fu allora che alcuni grandi statisti come Schuman, Monnet, Adenauer,  Spinelli, De Gasperi e Spaak  proposero l’idea di un’Europa unita per prevenire futuri conflitti.  Da un concetto  solo geografico, indicarono a tutti un ambizioso progetto politico. La Storia di questi ultimi ottant’anni ci ha insegnato tante cose. Ma ora, in presenza di minacce reali all’indipendenza e alla sovranità dell’Europa,  dobbiamo fare  qualcosa di più.

Furono proprio i padri fondatori dell’Europa a indicarci la strada per continuare a vivere insieme, nel rispetto delle diversità, nell’amicizia tra i popoli e per la libertà di tutti. Per quanto riguarda il Mediterraneo, il “mar tranquillo” come lo definì Torquato Tasso,  non dobbiamo mai dimenticare quanto la prosperità del Mezzogiorno sia dipesa e continui a dipendere anche da questo mare. È grazie agli scambi marittimi che le città del Sud –  prima fra tutte la  Repubblica di Amalfi – sono state per secoli un motore dell’economia, della cultura, della storia d’Europa. La vicinanza del Sud al Mediterraneo è un vantaggio strategico da cogliere, un’opportunità da sfruttare. Per farlo, c’è bisogno di adeguate politiche di investimento nazionali ed europee, che si integrino con le idee e il dinamismo delle realtà produttive locali.

Diceva  Don Luigi Sturzo  che il Mezzogiorno è  “il ponte gettato dalla natura” fra il continente europeo e le coste dell’Africa e dell’Asia, un punto naturale di scambi e di commerci. In passato, le politiche di sviluppo del Mezzogiorno non hanno valorizzato abbastanza questa caratteristica. Oggi l’area mediterranea ha un livello d’integrazione inferiore alle sue potenzialità. Circa il 90% del commercio nel Mediterraneo avviene tra Paesi dell’Unione Europea. Appena il 9% sono scambi tra l’Europa e la sponda Sud del Mediterraneo. Solo l’1% sono scambi tra paesi della sponda Sud. Per invertire la rotta, allora, bisognerà  investire tanto e bene innanzitutto nelle infrastrutture.

Lo sviluppo dell’area mediterranea non può essere visto soltanto sotto il profilo delle politiche di coesione. È, piuttosto, la risposta a una lunga serie di sfide comuni: l’autonomia energetica, la tutela dell’ambiente, il miglior inserimento dei giovani e delle donne nel mercato del lavoro. Si va verso  una maggiore integrazione europea e quindi verso una più forte proiezione dell’Europa nel Mediterraneo.  Ecco perché le sinergie intelligenti tra Europa, Mediterraneo, Mezzogiorno e l’Africa sono sempre più cruciali per affrontare le sfide, ormai sempre più globali, dell’immigrazione e delle carestie e delle nuove povertà.

Per quanto riguarda le Politiche sull’Immigrazione, L’Europa dovrà ancor più sviluppare politiche migratorie umane, basate sui diritti umani e sulla solidarietà. Questo include la gestione delle rotte migratorie, l’accoglienza dignitosa e l’integrazione dei migranti. Il Mezzogiorno, essendo una porta d’ingresso nel Mediterraneo, può collaborare con l’UE per garantire procedure di asilo efficienti e risorse adeguate per l’accoglienza.

Sul fronte della Cooperazione Economica e Culturale, noi europei dobbiamo renderci conto che  gli  investimenti nell’Africa subsahariana possono ridurre le cause profonde dell’immigrazione, come la povertà, la mancanza di opportunità e i cambiamenti climatici. L’Unione Europea può promuovere lo sviluppo economico e infrastrutturale nel Mezzogiorno e nell’Africa mediterranea. Ciò contribuirà a creare opportunità di lavoro e a ridurre la migrazione forzata. Investimenti in energia rinnovabile, agricoltura sostenibile e istruzione possono migliorare la qualità della vita e la stabilità.

Infine, l’Europa dovrà marciare unita nella gestione delle emergenze e della sicurezza,  per affrontare le crisi umanitarie, come i conflitti e i disastri ambientali. La sicurezza delle rotte migratorie e la lotta contro il traffico di esseri umani richiedono cooperazione transnazionale.

Per quanto riguarda infine il futuro del nostro  continente, la domanda che ci poniamo tutti, è sempre la stessa: Riusciremo, nel terzo millennio, a realizzare il sogno di Schuman, di De Gasperi e di Monet, per una nuova, libera e forte Entità geopolitica come gli Stati Uniti d’Europa?

Noi tutti ci auguriamo che si possa finalmente raggiungere quest’ambizioso traguardo. Ma l’ottimismo della volontà non può farci dimenticare il pessimismo della ragione. E cioè le considerazioni critiche che da più parti sono state espresse di fronte a una simile prospettiva. Tra i tanti autorevoli intellettuali e giornalisti  italiani che si sono espressi sul futuro dell’Europa, penso in particolare a quello che hanno scritto Angelo Panebianco, Paolo Mieli, Aldo Cazzullo e soprattutto Ernesto Galli della Loggia. Sono diversi e molto stimolanti  gli elementi che dobbiamo considerare quando parliamo di Sati Uniti d’Europa.

Un primo fattore da considerare è senz’altro l’Identità e la Cultura europea. Non c’è dubbio che uno dei principali ostacoli alla piena integrazione europea è la mancanza di una coesione culturale e identitaria. La diversità linguistica, storica e culturale degli Stati membri rende difficile la creazione di un senso di appartenenza comune. Per costruire un’Europa unita è fondamentale lavorare su una narrazione condivisa che possa amalgamare le diverse identità nazionali in un’unica identità europea.

Un secondo fattore investe la crisi della Sovranità nazionale. Molti cittadini europei vedono con sospetto la cessione di sovranità a un’entità sovranazionale come l’Unione Europea. Questa resistenza è alimentata dalla percezione che le istituzioni europee siano distanti e non rappresentative delle esigenze locali. E allora, per superare questa sfida, autorevoli esponenti della politica, della cultura e della società civile ritengono necessario rendere le istituzioni europee più trasparenti, democratiche e vicine ai cittadini.

Un terzo fattore  riguarda i Problemi economici e sociali. La crisi economica e la disuguaglianza sociale rappresentano ulteriori impedimenti al processo di unificazione. Le politiche economiche europee devono essere riformate per garantire una crescita equa e sostenibile. La disparità economica tra gli Stati membri, infatti, alimenta il nazionalismo e l’euroscetticismo. Per avanzare verso gli Stati Uniti d’Europa, è indispensabile promuovere politiche di coesione economica e sociale che riducano queste disuguaglianze.

Tutto ciò premesso, quali potrebbero essere le tappe indispensabili per la costruzione degli Stati Uniti d’Europa? Intanto è prioritario puntare all’unificazione politica. La costruzione degli Stati Uniti d’Europa richiede un chiaro avanzamento verso un’unificazione politica. Questo implica la creazione di istituzioni politiche federali con poteri reali e riconosciuti dai cittadini. Si tratta di un passaggio essenziale per superare le frammentazioni politiche e garantire una governance efficiente e rappresentativa a livello europeo. La formazione di un governo federale europeo potrebbe includere un Presidente eletto direttamente dai cittadini e un Parlamento con maggiori poteri legislativi.

Un altro fattore dirimente, in questo percorso, riguarda la riforma delle istituzioni europee. Le attuali istituzioni  a Bruxelles  e a Strasburgo, così come le conosciamo oggi, non rispondono più alle mutate condizioni geopolitiche del nostro vecchio continente.  Devono essere riformate per diventare più democratiche e trasparenti. La Commissione Europea dovrà diventare un organismo sempre più responsabile verso il Parlamento Europeo e i cittadini.  In quest’ottica, va rafforzato anche il ruolo del Parlamento Europeo, conferendogli maggiori poteri legislativi e di controllo.

Dovrà essere ripensata anche la Politica Estera e la Difesa Comune. l’Europa deve parlare con una sola voce nei consessi internazionali e deve essere in grado di difendere i propri interessi strategici in modo autonomo. Questo comporta la costituzione di un esercito europeo unificato e una strategia di difesa comune.

Anche l’Unione Economica e Monetaria dovrà essere rafforzata, con politiche fiscali comuni e un bilancio federale europeo. Queste misure permetterebbero di affrontare in modo più efficace le crisi economiche e di promuovere una crescita equilibrata tra gli Stati membri. Una politica economica coordinata a livello europeo può ridurre le disparità regionali e migliorare la stabilità finanziaria dell’UE.

E poi, ma non in ordine di importanza, c’è il capitolo dedicato all’Educazione e alla Cultura. 

Tutti gli Stati dovranno  promuovere una cultura europea condivisa attraverso l’educazione. Programmi scolastici comuni, scambi culturali e iniziative che favoriscano la conoscenza reciproca tra i popoli europei sono essenziali per costruire una cittadinanza europea consapevole e coesa.

Ricordiamo infine, per rimanere al tema di questo mio intervento, che lo sviluppo e il miglioramento dei  rapporti tra il Mezzogiorno, il Mediterraneo e l’Europa,  richiederanno sempre più un impegno comune su diversi fronti: non solo su quello economico,  ma anche su quello  politico e sociale. Attraverso la cooperazione, le politiche di solidarietà e un approccio inclusivo alle politiche migratorie, sarà possibile costruire una regione mediterranea ed europea più prospera, stabile e pacifica. Questo sforzo congiunto contribuirà non solo al benessere delle popolazioni locali, ma servirà soprattutto alla costruzione di un’Europa più unita, più libera e forte. Un’Europa che possa esercitare, proprio in virtù della sua unità e della sua autorevolezza, un ruolo di dissuasione e pacificazione, in un mondo sempre più in balia di conflitti, di tensioni e insensate guerre fratricide.

Michele Rutigliano