Il destino di un palazzo – di Stefano Amore

Il destino di un palazzo – di Stefano Amore

Identità architettonica e storica del Palazzo della Consulta a Roma.  

L’art. 1 della legge 18 marzo 1958, n. 265 (Integrazioni e modificazioni alla legge 11 marzo 1953, n. 87, concernente l’organizzazione ed il funzionamento della Corte costituzionale), stabilendo che “Il palazzo della Consulta in Roma, delimitato da piazza del Quirinale, vicolo del Mazzarino e via della Consulta, compresi gli accessori, le pertinenze e gli arredi, è destinato a sede permanente della Corte costituzionale”, ha conferito nuova identità a un palazzo di antica storia, che dei profondi mutamenti politici e istituzionali di Roma prima, e dell’Italia poi, è stato indubbio e significativo protagonista. 

In realtà, il palazzo della Consulta era stato designato come sede della Corte costituzionale già nel 1955 e in esso, infatti, il 23 aprile 1956, si era tenuta l’udienza inaugurale durante la quale Enrico De Nicola, suo primo Presidente, già capo provvisorio dello Stato repubblicano nonché, per pochi mesi, Presidente della Repubblica, nel discorso letto alla presenza delle massime autorità dello Stato, aveva evidenziato l’indispensabilità di una giustizia costituzionale per l’attuazione piena della Costituzione: “La Corte può finalmente funzionare con assoluta fiducia ed è destinata a inattesi sviluppi. La Costituzione è finalmente attuata in uno dei suoi settori basilari, sicché — almeno in questa parte — non potrà essere più paragonata da un grande Maestro della scienza del diritto a una celebre sinfonia di Schubert: «L’Incompiuta»”1.

Tra l’edificio che, un secolo prima, aveva ospitato Mazzini, Armellini e Saffi durante le drammatiche vicende della seconda Repubblica romana, e la Costituzione del 1948 sorge, subito, un legame profondo, che le pronunce della Corte continuano a rimarcare, quasi con orgoglio, con le parole che concludono sempre il loro dispositivo: “Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta”.

Per comprendere che non si tratta dell’espressione di un banale e diffuso costume giudiziario, basta consultare le decisioni di qualsiasi altro organismo giurisdizionale, che si limitano a citare, al più, la città dove hanno sede, senza aggiungere null’altro.

In questa peculiarità che caratterizza le pronunce della Corte costituzionale dobbiamo cogliere una nota di sacralità? Esiste, forse, un legame profondo che lega il palazzo della Consulta con la Costituzione repubblicana e che va aldilà delle concrete vicende storiche?  

Forse sì, se consideriamo le stesse parole utilizzate dal Presidente De Nicola nel discorso pronunciato all’udienza inaugurale, quando, sottolineando, l’unità di intenti e di azioni che avrebbe dovuto realizzarsi tra la Corte e la Magistratura, aveva indicato la prima come “vestale della Costituzione” e la seconda come “vestale della Legge2

Resta il fatto, al di là di queste vibranti suggestioni, che la solidità e la razionalità del palazzo della Consulta è subito divenuta, nella percezione degli italiani, l’immagine plastica del vigore della nostra Costituzione che, proprio quale fondamento delle libertà civili, politiche e sociali dell’Italia repubblicana, ha trovato perfetto riscontro nella “tetragona volumetria trapezoidale” dell’edificio3

Queste considerazioni non sono smentite dalla storia e dall’originaria funzione del palazzo, considerato da alcuni studiosi, molto più prosaicamente, l’esempio di un nuovo stile edilizio in cui sono combinate le tipologie dell’edificio amministrativo e della caserma4.

Esemplari le riflessioni del grande architetto statunitense Louis Kahn sul rapporto tra le istituzioni e gli edifici che le ospitano: «Tutto quello che un architetto fa risponde prima di tutto ad un’istituzione dell’uomo e poi diventa un edificio. Si parla delle istituzioni dell’uomo. Non mi riferisco alle istituzioni nella loro costituzione. Voglio dire piuttosto che le istituzioni rappresentano il desiderio insopprimibile di essere riconosciute, che l’uomo non può procedere in una società di altri uomini senza condividerne certe ispirazioni, che occorre un luogo per il loro esercizio»5

D’altronde, la dimensione istituzionale di cui l’edificio costituisce l’espressione non può rimanere legata solo al passato, ben potendo avere uno sviluppo, non solo funzionale, ma anche, e soprattutto, ideale. 

Il che lo porta a divenire vero “monumento”, emblema della società e degli uomini così come evolvono e progrediscono concretamente nella storia. La solidità e la bellezza dell’edificio è simbolo di un’idea che non tramonta e non va confusa con la funzione voluta inizialmente, che rappresenta solo l’occasione della costruzione, non certo la finalità profonda che l’anima.

Forse, veramente, il destino del palazzo della Consulta non sarebbe potuto essere diverso, considerata la sacralità dell’area in cui è stato realizzato, quella del Colle Quirinale, sede dell’antico santuario dedicato a Quirino, trasfigurazione divina di Romolo, mitico fondatore della città di Roma. E luogo ove erano ubicati anche altri importanti edifici di culto, tra cui, il tempio della Dea Salute e quello di Serapide, che l’imperatore Caracalla fece innalzare nel 217 d.C. e da cui, probabilmente, provengono le due grandi statue dei Dioscuri, che da secoli connotano la piazza6.   

Questi imponenti gruppi scultorei, raffigurati mentre trattengono per le briglie i cavalli, vennero successivamente utilizzati per ornare le Terme di Costantino, costruite intorno al 315 d.C., e fecero assumere al colle, sin dal medioevo, il più prosaico nome di “Mons Caballus”, Montecavallo7

Così, infatti, “veduta di Montecavallo”, è intitolato il bellissimo acquerello di Gaspar Van Wittel, meglio noto con l’italianizzato cognome di Vanvitelli, conservato ai Musei Capitolini di Roma, che rappresenta la piazza del Quirinale com’era nel 1682, cinquant’anni prima dell’avvio dei lavori di costruzione del Palazzo della Consulta.  

È nel 1732, infatti, che Papa Clemente XII, Lorenzo Corsini, affida all’architetto fiorentino Ferdinando Fuga8 l’incarico di realizzare un edificio che potesse ospitare la segreteria della Congregazione della Sacra Consulta, la Segnatura dei Brevi ed i reparti militari dei Cavalleggeri e delle Corazze9

Dopo la posa simbolica della prima pietra dell’edificio, contenente alcune medaglie coniate per la circostanza, effettuata il 9 ottobre 1732, i lavori dell’edificio procedono celermente, tanto che nel dicembre del 1734 risulta già completata la copertura del tetto e viene collocata, nella parte centrale della facciata principale del nuovo palazzo, la grande lastra di marmo che ne attribuisce a papa Clemente XII la fondazione: “CLEMENS XII PONT. MAX ADMINISTRIS PONTIFICIAE DITIONIS NEGOCIIS CONSULTANDIS ATQUE A BREVIORIBUS EPISTOLIS LEVIS ARMATURAE ET THORACATORUM EQUITUM TURMIS A FUNDAMENTIS EXTRUXIT ANNO SAL. MDCCXXXIV PONT. V10

E pochi mesi dopo, l’8 aprile del 1735, vengono scoperti, a coronamento dell’edificio, al centro della balaustra, i gruppi scultorei delle Allegorie della Fama, opera dello scultore Paolo Benaglia, che affiancano lo stemma con le armi di Papa Corsini.

La costruzione del palazzo della Consulta non fu, naturalmente, priva di difficoltà tecniche, soprattutto per la necessità di considerare, nella sua fondazione, i resti delle Terme di Costantino presenti nell’area e di demolire il preesistente edificio esistente in loco, costruito nel cinquecento per il cardinale Ferrero, vescovo di Vercelli e, successivamente, destinato da papa Sisto V a sede della Congregazione della Sacra Consulta. 

Ma i problemi maggiori che dovette affrontare il nuovo pontefice furono quelli di carattere economico.  

È noto che Papa Corsini usasse dire «sono stato un ricco abate, un comodo prelato, un povero cardinale ed un Papa spiantato», ma, nonostante l’età avanzata quando nel 1730 venne eletto al soglio pontificio, il suo spirito pragmatico gli consentì di affrontare e risolvere brillantemente le notevoli difficoltà economiche dello Stato della Chiesa. 

Per finanziare le nuove opere e risanare le finanze vaticane, Clemente XII decise, infatti, di ripristinare il giuoco del lotto che il suo predecessore, Benedetto XIII, aveva proibito, stabilendo, peraltro, allo scopo di assicurare i massimi introiti alle finanze del Vaticano, la scomunica per chiunque avesse giocato, ma all’estero, ossia ai lotti di Genova, Napoli e Milano. 

Così, già nel maggio del 1737, terminati anche i lavori di rifinitura, il palazzo realizzato dal Fuga era pronto ad accogliere la segreteria della Congregazione della Consulta e la Segnatura dei Brevi, a cui vennero destinati i piani intermedi dell’edificio, e i reparti dei Cavalleggeri e delle Corazze.

Il nuovo palazzo scontava, indubbiamente, le difficoltà dell’area, limitata dalle preesistenti costruzioni di Palazzo Rospigliosi11 e del Monastero della Maddalena12, per cui il Fuga fu costretto a progettare un edificio a pianta trapezoidale, con un grande cortile al centro e il lato maggiore su piazza del Quirinale, la cui posizione risultava inclinata rispetto al baricentro della piazza.      

L’asimmetria della posizione, oltre a catturare l’attenzione dello spettatore, sottraeva, però, l’edificio alla competizione diretta con il palazzo del Quirinale, assumendo un significato, anche simbolico, di diversa centralità rispetto a quella della sede dei Papi, dei Re d’Italia e, oggi, del Presidente della Repubblica. 

La facciata del nuovo edificio venne articolata dal Fuga su due piani, scanditi verticalmente da tredici lesene, che si ripetono ritmicamente e inquadrano una serie di alte finestre, separate da uno stretto ammezzato, con timpani triangolari al primo piano e convessi al secondo. 

A coronamento dell’imponente portone centrale, inquadrato da due colonne doriche che sorreggono un timpano, vennero poi poste le due statue della Giustizia e della Religione, opera dello scultore Francesco Maini, mentre, per i due portoni laterali, oggi chiusi, Filippo della Valle scolpì i Trofei militari relativi ai corpi dei Cavalleggeri e delle Corazze. 

L’aggiunta di questi gruppi scultorei non piacque a tutti, e forse non venne neppure condivisa dal Fuga, tant’è che Francesco Milizia, nelle sue “Memorie degli architetti antichi e moderni”, definì «il palazzo veramente cospicuo della Consulta su la piazza di Montecavallo; opera grande, tutta isolata, e ripartita in quartieri per i Cavalleggeri e per le Corazze, e in appartamenti pel Segretario de’ Brevi, e per quello della Consulta, con tutte le comodità relative agli offizi di queste diverse Segreterie». Aggiungendo, però, che «il portone di mezzo è … straccarico di sculture, le quali riescono pesanti anche ne’ portoni laterali, e su nel mezzo del soprornato»13.

All’interno dell’edificio, guardando dal cortile verso il portone principale, si apre poi, come controfacciata, uno scenografico scalone d’onore, a due piani e doppie rampe, con dodici grandi finestroni obliqui che fanno da balaustra, di cui veramente si potrebbe dire, usando l’espressione di Filippo Juvarra, “non sono le scale piccolo ornamento d’un gran Palazzo14.

Quanto poi alla distribuzione degli spazi interni, il Fuga la articolò su sette livelli (tanti sono gli ordini delle finestre, comprese quelle del seminterrato, che si affacciano sul cortile), in modo da potervi ospitare gli alloggi per i militari e i funzionari degli uffici, le stalle per le carrozze e i cavalli utilizzati dai reparti dei Cavalleggeri e delle Corazze e gli appartamenti dei cardinali, collocati entrambi al piano nobile, e destinati, quello sul lato di Palazzo Rospigliosi, al Segretario dei Brevi, l’altro, sul lato opposto, in direzione del Palazzo del Quirinale, al Segretario della Congregazione della Sacra Consulta.  

La funzione originaria del palazzo verrà, però, rapidamente e profondamente modificata nel tempo dalle vicissitudini politiche dello Stato della Chiesa, prima, e dell’Italia poi. 

Già nel 1798, dopo poco più di sessanta anni dalla costruzione dell’edificio, il generale francese Berthier occupava, infatti, Roma e, proclamata la Repubblica Romana, sorella di quella Francese, i corpi dei Cavalleggeri e delle Corazze venivano sciolti. 

Si tratterà di una breve ed illusoria parentesi, anche se accompagnata all’atto della sua proclamazione, come narra Carlo Botta, da “canti, balli, e rallegramenti di ogni forma15, così che, nel 1801, il nuovo Pontefice, Pio VII, rientrato a Roma, costituirà il nuovo corpo della Guardia Nobile, che prenderà possesso degli alloggiamenti che erano già stati dei Cavalleggeri.

Il movimento di pensiero e di azione che doveva segnare il destino di Italia e di Roma era però, ormai, avviato. Melchiorre Gioia, nel 1796, aveva vinto il concorso bandito dalla Società di Pubblica Istruzione di Milano sul tema “Quale dei governi liberi meglio convenga alla felicità d’Italia16, con una dissertazione in cui sosteneva la tesi di un’Italia libera, repubblicana, retta da istituzioni democratiche, indivisibile per i suoi vincoli geografici, linguistici, storici e culturali, e nella Repubblica romana del 1798-1799 venne stabilito, per la prima volta nei territori che sino ad allora erano stati sotto il dominio della Chiesa, l’ordinamento di uno Stato costituzionale di diritto, fondato sulla separazione dei poteri e sulla garanzia dei diritti dei cittadini17

Dopo l’eclisse dell’idea repubblicana in Francia e una breve parentesi temporale in cui le relazioni tra il Pontefice e Napoleone sembravano essersi stabilizzate, le truppe francesi, nel 1808, tornarono ad occupare Roma e l’11 maggio 1809 tutti i territori dello Stato della Chiesa vennero annessi all’Impero francese. 

Il palazzo della Consulta divenne così, per alcuni anni, la residenza del Prefetto francese di Roma, il Barone de Tournon, per poi tornare ad ospitare, dopo la caduta di Napoleone nel 1814, la Congregazione della Consulta, destinata però a perdere, nel 1831, a seguito dell’entrata in vigore del Regolamento organico e di procedura criminale emanato da papa Gregorio XVI, la gran parte delle sue competenze amministrative e ad acquisire la nuova denominazione di Supremo Tribunale della Sacra Consulta.

Prima dell’Unità d’Italia, l’edificio voluto da Papa Corsini sarà, però, protagonista di un’altra straordinaria esperienza, quella della Repubblica Romana del 1849, guidata da Mazzini, Saffi e Armellini. Il triumvirato pone, infatti, la sua sede proprio nello storico edificio che inizia, così, la sua progressiva metamorfosi da palazzo del Potere a palazzo della Democrazia. 

I triumviri incaricano, tra l’altro, due uditori, scelti fra i rappresentanti del popolo, di ricevere proprio alla Consulta, tre giorni alla settimana, tutti coloro che abbiano petizioni o domande individuali da inoltrare18. E la presenza di Mazzini nel palazzo, per quanto breve, segna profondamente il genius loci dell’edificio. 

Suggestiva e indimenticabile la descrizione contenuta nelle memorie di Ferdinand de Lesseps, il diplomatico francese, divenuto poi notissimo per la realizzazione del Canale di Suez, a cui era stato affidato il difficile compito di concordare una tregua per il corpo di spedizione francese, guidato dal generale Oudinot, che nel suo primo attacco a Roma era stato respinto, con gravi perdite, dalle truppe comandate da Garibaldi. 

L’interlocutore di de Lesseps, nella tarda notte del 16 maggio 1849, gli indica il percorso e le cautele da seguire: “Ebbene, vedi il Palazzo della Consulta. Tutte queste finestre che si affacciano sulla piazza sono quelle delle stanze che dovrete attraversare, dovete passare dall’una all’altra, perché non ci sono corridoi. È come alle Tuileries, mi ha detto, dove devi sempre passare dalla parte anteriore, lungo le finestre. Salirai al primo piano. […] Mazzini è nell’ultima stanza; ora dorme profondamente fino alle tre del mattino, perché è molto stanco dopo la giornata. […] Salite, nel vestibolo a sinistra vedrete l’ingresso agli appartamenti. Se la porta non è aperta, come lo è presso il chiavistello, la aprirai, sentirai il muro; sarà buio; in un punto ti girerai dall’altra parte; alla quinta finestra (le conterete) dopo, c’è un ampio soggiorno con tre finestre, e poi un altro soggiorno diviso in due. Ci sono da una parte i segretari di Mazzini che dormono sul retro, in due letti, e poi il nipote che dorme di fronte alla sua porta. Una volta arrivati ​​in quest’ultima stanza, probabilmente non ci saranno ostacoli. Troverete Mazzini disteso, in una stanza molto semplice, su un letto di ferro; accanto al suo letto c’è un tavolino dove c’è questa luce che tiene, l’unica del palazzo; poi, ai piedi del letto, c’è una piccola sedia… puoi sederti...”19.     

Dopo il 1870, con la presa di Roma, lo svolgimento del plebiscito per la sua annessione al Regno d’Italia e la successiva proclamazione a Capitale, lo stemma reale sabaudo verrà inserito, tra le due statue della Giustizia e della Religione, sul timpano del portone centrale dell’edificio, destinato, in un primo momento, a residenza del principe ereditario  Umberto e della sua consorte Margherita.

In funzione delle esigenze dei giovani principi, la  distribuzione degli spazi interni del piano nobile del palazzo sarà modificata sensibilmente e nella decorazione dei soffitti verrà aggiunta una lettera «U», arricchita da simboli sabaudi e motivi di margherite. 

Ma il 7 aprile 1874, grazie alla perseveranza di Emilio Visconti Venosta, all’epoca Ministro degli Affari Esteri, un atto ufficiale del demanio assegnerà al suo dicastero il palazzo della Consulta, che ne sarebbe rimasta la prestigiosa sede fino al 1922.  

Le nuove funzioni comportarono ulteriori, significative, modifiche dell’edificio.

Le scuderie del seminterrato e le stalle del piano terreno furono, infatti, sostituite da altrettanti vani e venne chiuso sia l’ingresso sul lato del vicolo Mazzarino, che quello della facciata posteriore, mentre sul lato di via della Consulta venne installata una tipografia. Furono, inoltre, ampliati i saloni per i pranzi ufficiali e per le altre funzioni di rappresentanza e trovata una collocazione, al pian terreno e al quarto piano, per la biblioteca e l’archivio del ministero. 

I cinquant’anni in cui il palazzo della Consulta sarà sede del Ministero degli Affari Esteri vedranno, peraltro, amalgamarsi sempre di più l’importante istituzione con le abitudini di vita dei romani.

Di quel periodo fornisce una nostalgica e ironica rappresentazione Daniele Varè, nel suo libro “Il diplomatico sorridente (1900-1940)20, raccontando gli anni della sua permanenza presso gli uffici della divisione politica del ministero. Apprendiamo così che, durante un’estate in cui al ministero c’era ben poco lavoro in confronto alle ore d’ufficio, i distinti diplomatici, a vantaggio della propria salute, nelle ore di maggiore tranquillità, dopo aver disteso una rete in una delle maggiori sale dell’austero palazzo, vi si dedicavano al gioco del volano.    

Ma la pagina in cui Varè descrive meglio il rapporto dell’istituzione con la città, è quella in cui narra dei più antichi padroni di Roma, i gatti, e della loro vita all’interno dell’edificio. 

I gatti alla Consulta”, racconta Varè, “si mostravano indifferenti alle superiori istruzioni. Si credevano padroni loro. E a dispetto del Sottosegretario di Stato, seguitavano a considerare il palazzo demaniale come un feudo, e noi come vassalli. Frequentavano il cortile, l’androne, la portineria, la terrazza in alto e quella interna al mezzanino, i corridoi e le scale. In teoria avrebbero dovuto portare una guerra di sterminio ai topi in archivio. Ma quei gatti erano così grassi e ben pasciuti che di cacciare i topi non se la sentivano. Invece passavano le giornate in istato più o meno comatoso, oppure affaccendati in complicate e indecorose operazioni di toletta”. 

Il decano di questi gatti era un grosso micione grigio a macchiatura trasversale. che portava un collare, come un cane, ed era così pomposo e pieno di sé che si sarebbe detto l’animale simbolico e sacro che gli Egiziani veneravano. E può darsi difatti che un antenato del nostro gatto sia stato venduto a un re etrusco da navigatori fenici che l’avevano portato dall’Egitto. Causa la pinguedine, aveva perso completamente quell’andatura ondulata ch’è propria della sua specie. E lo sguardo della pupilla diaframmata non aveva nulla d’inquietante, come di solito nell’occhio d’un felino. Quel gatto aveva appartenuto a Giuseppe Zanardelli, Presidente del Consiglio dei Ministri tra il 1901 ed il 1903. Avevano dimorato entrambi alla Consulta, ma soltanto il gatto vi era rimasto. Ed anche lui, lo chiamavano «Zanardelli», come se quel nome gli spettasse per diritto d’adozione21.

Non sappiamo che sorte sia toccata, con la fine dello Stato liberale, al gatto «Zanardelli», ma nel 1922, Mussolini, divenuto nuovo Presidente del Consiglio, oltre che Ministro degli Esteri e degli Interni, forse per dare il preciso segnale che la politica estera non sarebbe più dipesa dalle decisioni del Re, allontanò il ministero da quella sede, portandone gli uffici a palazzo Chigi22, mentre nell’edificio della Consulta veniva trasferito il ministero delle Colonie che, dopo aver assunto nel 1937 la denominazione di ministero dell’Africa italiana, nel 1953 sarebbe stato soppresso.

Inizia, così, il periodo in cui il destino del palazzo, da sempre sede di importanti istituzioni, si legherà a quello della giovane
Repubblica italiana e della sua Costituzione. 

L’Assemblea costituente, nell’elaborare il testo della Costituzione della Repubblica italiana, entrato in vigore il 1° gennaio 1948, aveva fatto una precisa scelta di fondo, optando per una Costituzione “rigida”, di cui è possibile la modifica solo con lo speciale procedimento legislativo aggravato previsto dall’articolo 138 Cost., prevedendo anche l’istituzione di una Corte costituzionale, con la funzione di decidere «sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti, aventi forza di legge, dello Stato e delle Regioni; sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato e su quelli tra lo Stato e le Regioni, e tra le Regioni; sulle accuse promosse contro il Presidente della Repubblica, a norma della Costituzione» (art. 134 Cost.) e sulle questioni di legittimità costituzionale eventualmente promosse dal Governo della Repubblica «sugli statuti regionali dinanzi alla Corte costituzionale entro trenta giorni dalla loro pubblicazione» (art. 123, comma 2, Cost.)

Sempre alla Corte venne successivamente attribuito, dalla legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1 (Norme integrative della Costituzione concernenti la Corte costituzionale), il compito di giudicare sull’ammissibilità delle richieste di referendum abrogativo.

In origine alla Corte era stato attribuito anche il compito di giudicare i ministri per i reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni, competenza che venne poi soppressa dalla legge costituzionale n. 1 del 1989.

Toccò, quindi, proprio alla Corte costituzionale di celebrare, dal 1977 al 1979, il processo per corruzione sul cd. caso Lockheed, per la fornitura di quattordici aerei C130 Hercules all’Aeronautica militare. E, proprio nell’ambito di queste funzioni, il 3 marzo 1978, la Corte costituzionale dispose, con ordinanza, di non compiere ulteriori atti istruttori in ordine all’illazione, proveniente da oltreoceano, che identificava con Aldo Moro il misterioso Antelope Cobbler, principale collettore delle tangenti. 

Appena tredici giorni dopo il provvedimento, le Brigate Rosse rapirono il Presidente della Democrazia Cristiana, massacrando la sua scorta a Via Fani.

Si trattò di una casualità? Se la posizione di Aldo Moro non fosse stata stralciata sarebbe stato rapito lo stesso? O, forse, gli eventi avrebbero avuto un diverso svolgimento?

Non lo sappiamo e, probabilmente, non lo sapremo mai. Ma certamente, anche in questa tragica vicenda, che scosse dalle fondamenta la nostra giovane democrazia, ebbe un ruolo fondamentale la Corte costituzionale e il palazzo della Consulta che, dal 1955, accompagnavano il nostro paese in tutte le sue vicende, cercando di propiziare il futuro migliore immaginato dai Costituenti. 

Oggi, chi sale al piano attico del nobile palazzo può scorgere, vicino all’uscita dell’ascensore, tre seggiole in legno, di estrema semplicità, disposte malinconicamente, senza alcun fasto, ma che portano il glorioso stemma della famiglia Chigi. 

Nei numerosi documenti che illustrano le suppellettili e il patrimonio artistico dell’edificio non sono menzionate.

Da dove provengono? Forse proprio da Palazzo Chigi dopo lo scambio di sede, avvenuto nel 1922, tra il Ministero degli Affari Esteri e quello delle Colonie? O, forse, sono qui da molto più tempo, vestigia della Sacra Consulta o della Segreteria dei Brevi? 

A me piace immaginare che su di esse abbiano seduto anche Mazzini, Armellini e Saffi, in quel breve periodo in cui Roma fu Repubblica, sognando l’Italia che ancora non era.

Stefano Amore

Magistrato assistente di studio presso la Corte Costituzionale

Note

1 Discorso pronunciato dal Presidente Enrico De Nicola alla presenza del Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi nella udienza inaugurale del 23 aprile 1956, pag. 2. Testo disponibile sul sito internet della Corte costituzionale: www.cortecostituzionale.it 

2 E. De Nicola op. ult. cit., pag. 4.

3 L’espressione è di Paolo Portoghesi in “La Costituzione Italiana e il Palazzo della Consulta”, a cura di Paolo Grossi, Presidente emerito della Corte costituzionale, Utet Grandi Opere, pubblicato in occasione del 70mo anniversario della Carta costituzionale, pag. 231. Tra le opere dedicate al Palazzo della Consulta: “Il Patrimonio Artistico del Palazzo della Consulta Dipinti, sculture. Arti decorative”, a cura di Anna Lo Bianco, ed. Silvana Editoriale, Milano 2012; “I palazzi della giustizia”, Armando Ravaglioli, Newton Compton Editori nella collana Roma tascabile,1995; “Il Palazzo della Consulta sede della Corte Costituzionale”,  a cura di Maurizio Nevola, Grafica Editrice Italiana, Roma, 1983; “Il palazzo della Consulta”, testi di Borsi, Ceccuti, Del Piazzo e Morolli, con prefazione di Franco Bonifacio e introduzione di Giovanni Spadolini, editore Banca Nazionale dell’Agricoltura, 1974; “Il Palazzo della Consulta nell’arte e nella storia” di Aldo Agosteo e Aldo Pasquini, editore Fratelli Palombi, 1959.

4 Così Elisabeth Kieven in “Ferdinando Fuga e l’architettura romana del Settecento”, Roma 1987. 

5 Così Louis Kahn, “Idea e immagine” a cura di Schulz C. N., Officina edizioni, Roma, 1980, citato da P. Portoghesi op. cit., pag. 231. 

6Il Colle del Quirinale nell’Antichità. La storia e i monumenti” a cura di Maria Giuseppina Lauro in Louis Godart, Il Palazzo del Quirinale, editore Franco Maria Ricci, 2003. 

7Roma Imago Urbis. I Colli”, Roma, editore Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 1993. 

8 Il cardinale Lorenzo Corsini venne eletto papa il 16 luglio del 1730 con il nome di Clemente XII. Nonostante il fatto che al momento dell’elezione avesse già 78 anni, diede inizio ad una intensa opera di rinnovamento edilizio, nominando il fiorentino Ferdinando Fuga architetto dei palazzi pontifici. Oltre il palazzo della Consulta, al Fuga si deve la costruzione di palazzo Corsini alla Lungara, la facciata di Santa Maria Maggiore, l’ampliamento definitivo della Manica Lunga del Palazzo del Quirinale e la costruzione della Palazzina del Segretario della Cifra e della Coffee House nei giardini del Quirinale. Papa Corsini dette impulso a numerose opere pubbliche, tra cui la Fontana di Trevi, la nuova facciata di San Giovanni in Laterano, l’ampliamento del porto di Ancona e l’apertura della Strada Clementina. È ricordato anche per l’apertura alla cittadinanza dei Musei Capitolini, primo museo pubblico del mondo.

9 L’origine della Congregazione della Sacra Consulta risale alla fine del pontificato di Paolo IV, ma fu Sisto V, nel 1587, che ne fissò la denominazione in “Congregatio decimoquarta pro consultationibus negociorum Status Ecclesiastici” e la composizione, che comprendeva quattro cardinali, il Segretario di Stato in qualità di prefetto, e un certo numero di prelati, uno dei quali fungeva da Segretario. La Consulta aveva, in origine, competenze, sia di carattere amministrativo che giudiziarie, ma lo sviluppo storico accentuò soprattutto quelle giudiziarie. La Segnatura dei Brevi, secondo il Moroni, autore del Dizionario Di Erudizione Storico Ecclesiastica da S. Pietro sino ai nostri Giorni, era l’ufficio che provvedeva alla redazione delle lettere indirizzate dai Pontefici «ai sovrani, alle popolazioni, alle città, a personalità pubbliche o a privati per accordar loro dispense e indulgenze ovvero per dimostrare la loro benevolenza». I Cavalleggeri (o Cavalieri con armatura leggera) costituivano la guardia a cavallo del pontefice adibita alla sua persona, mentre il corpo delle Corazze, caratterizzato dall’armatura in acciaio, scortava a piedi la carrozza papale.

10 Clemente XII Papa eresse dalle fondamenta, nell’anno di salvezza 1734, quinto del suo pontificato, per i preposti al Consiglio Consultivo per gli Affari Pontifici e ai Brevi, nonché per i Cavalieri con armatura leggera e le Corazze.

11 Il palazzo, che sorge sui ruderi delle Terme di Costantino, a fianco di quello della Consulta, venne fatto costruire dal cardinale Scipione Borghese, nipote del papa Paolo V, accanto alla residenza papale del Palazzo del Quirinale. Nel 1704 il palazzo fu acquistato dal principe Giovanni Battista Rospigliosi, figlio di Camillo e nipote di papa Clemente IX, e da sua moglie, la principessa Maria Camilla Pallavicini, e divenne l’abitazione della famiglia Rospigliosi Pallavicini.

12 Il Monastero venne demolito nel 1889 in occasione della visita di Guglielmo II di Germania. 

13 Così Francesco Milizia in “Memorie degli architetti antichi e moderni” Parma 1781 (prima edizione Bodoni).  

14Non sono le scale piccolo ornamento d’un gran palazzo”. Scaloni e cerimoniale nei progetti di Filippo Juvarra di Roberto Caterino in Cultura, arte e società al tempo di Juvarra, a cura di Giuseppe Dardanello, editore Leo S. Olschki, Firenze, 2018.

15 Carlo Botta in “Storia d’Italia dall’anno 1789 all’anno 1814”, libro decimoquarto, p.36.

16 L’iniziativa fu bandita nel settembre 1796 dalla “Amministrazione Generale della Lombardia”, creata da Napoleone, con l’intento di acquisire indicazioni che consentissero di individuare il futuro assetto istituzionale dell’Italia.  

17 Così Paolo Alvazzi Del Frate, “Costituzione e giurisdizione nella Repubblica romana del 1798-1799” in “A Ennio Cortese”, pp. 1-14. Roma, Il Cigno. 

18 Riportato da Giovanni Spadolini nella sua Introduzione a “Il palazzo della Consulta”, già citato, pag. 12.  

19Eh bien, vous voyez le palais de la Consulta. Toutes ces fenêtres qui donnent sur la place sont celles des chambres que vous devrez traverser, il faut aller de l’un dans l’autre, parce qu’il n’y a pas de corridors. C’est comme au Tuileries, me dit-il, où l’on est toujours obligé de passer par le devant, le long des fenêtres. Vous allez monter au premier étage. […] Mazzini est dans la dernière pièce; il dort maintenant d’aplomb jusqu’à trois heures du matin, parce qu’il est très fatigué de la journée. […] Montez, dans le vestibule à gauche vous verrez l’entrée des appartements. Si la porte n’est pas ouverte, comme elle est au pêne, vous l’ouvrirez, vous tâterez la muraille;  il fera  obscur;  à un endroit, vous tournerez de l’autre côté; à la cinquième fenêtre (vous les compterez) après, se trouve un grand salon avec trois fenêtres, et puis un autre salon partagé en deux. Il y a, d’un côté, les secrétaires de Mazzini qui couchent au fond, dans deux lits, et puis son neveu qui couche en travers de sa porte. Une fois qui vous serez arrivé dans cette dernière chambre, il n’y aura pas d’obstacle, probablement. Vous trouverez Mazzini étendu, dans une chambre très simple, sur un lit en fer; à côté de son lit est une petite table où se trouve cette lumière qu’il garde, la seule qui soit dans le palais; puis, au pied de son lit, il y a une petite chaise… vous pourrez  vous asseoir…” in F.M. de Lesseps, “Souvenirs de quarante ans”, «Nouvelle Revue», Paris 1887, vol. I,  p. 225-226, riportato da Elio Providenti in “Mazzini a Roma nel 1849” in Nuove Archeologie, Polistampa, Firenze, 2009.

20 Daniele Varè, “Il diplomatico sorridente (1900-1940)”, Mondadori, aprile 1941. 

21 Daniele Varè op. ult. cit., pag. 77.

22 Narra del trasferimento del Ministero degli Affari Esteri dal Palazzo della Consulta a Palazzo Chigi sempre Daniele Varè op. ult. cit., pag. 249 e ss.